Non sono in tanti, in Italia, a poter dire di aver venduto oltre 6 milioni di copie di dischi e aver attraversato sedici anni di musica sempre al top. Ma questi sono i numeri che Max Pezzali può orgogliosamente esibire e che certificano la sua dorata carriera.
Una carriera che si è sviluppata come un film, divisa in due tempi, con Max come regista e interprete. Il primo tempo sotto la sigla
883, "marchio di fabbrica" condiviso all’inizio, per un paio d’anni, con l’amico Mauro Repetto e poi, dopo l’abbandono di questi, da solo. Un’avventura tinta di contagioso pop, durata fino

all’inizio del nuovo millennio, che ha dato vita a mega successi come
Hanno ucciso l’Uomo Ragno, Nord Sud Ovest Est, La dura legge del gol, per citare qualche titolo di album.
Il secondo tempo, invece, prende avvio nel 2001, quando Max decide di mettere in soffitta il logo 883 e firmare i dischi con il solo nome e cognome. È un cambio che segna anche una crescita dell’artista nella scrittura dei pezzi, come dimostra con i successivi album che finiscono dritti in cima alle classifiche.
Una svolta importante, confermata dall’ultimo album di successo siglato Max Pezzali, Time out, uscito l’anno scorso, che ha dato il via a un tour trionfale ora trasformatosi in un album e un dvd, Max Pezzali Live 2008, prima testimonianza discografica di un suo concerto. In scaletta, una selezione dei suoi hit rivitalizzati dall’incandescente e gioiosa atmosfera creata dal pubblico, con l’aggiunta di due inediti, la trascinante Mezzo pieno o mezzo vuoto e la ballad Ritornerò. Ecco cosa ha raccontato a Mondo Erre.
L’intervista
È il primo live dopo 16 anni di carriera. Perché lo fai uscire proprio adesso?
Fin dagli inizi, fare concerti è sempre stata una parte fondamentale del mio lavoro. Ma solo oggi credo di essere riuscito a dare un arrangiamento comune ai miei pezzi, anche i più datati che, per forza di cose, erano nati con stili diversi. È scaturito un lavoro più coerente con quelle che sono le mie scelte musicali attuali, un ponte ideale tra il passato e il presente.
Nell’album ci sono canzoni che qualcuno, alla loro uscita, ha definito disimpegnate. Eppure sono diventate "inni generazionali", rimanendo nel tempo. Allora, avevi ragione tu?

Ho sempre scritto canzoni che fotografavano quello che vedevo e sentivo in quel preciso momento. Per farlo, ho usato il linguaggio del pop, cercando di essere leggero ma anche, talvolta, di far pensare. Sono convinto, d’altronde, che accanto alla musica d’impegno e di denuncia, deve esserci posto anche per quella più spensierata. Io ho fatto delle istantanee puntando al dettaglio, a realtà forse meno grandi ma non per questo meno importanti. Il fatto che oggi il pubblico canti ancora nei concerti i miei brani sono la miglior prova della loro validità.
Fare pop non è un insulto.
In Italia sono sorti vari equivoci intorno al pop, genere che molti critici non hanno mai troppo amato. E quando si è obbligati a scrivere di cose che non piacciono, difficilmente escono apprezzamenti buoni. Oggi, invece, sono crollati un po’ di schemi, gli stili si sono mischiati e anche certi giudizi sono cambiati.
Quanta responsabilità ti sei sentita sulle spalle nei confronti dei ragazzi che ti ascoltavano?
Ho vissuto gli anni degli 883 in modo quasi incosciente. Nel senso che di giorno entravo nella mia sala prove di Pavia e di sera uscivo con gli amici, frequentando luoghi e persone a me familiari. Ho quindi sempre separato il mio ruolo pubblico da quello privato. Questa sorta di protezione mi permetteva di osservare la realtà e coglierla nelle sue sfaccettature in piena libertà, senza caricarmi di responsabilità ma privilegiando l’istinto.
Come costruisci un brano?
Mi ritengo uno spettatore e, oltre alla mia vita, mi piace "vivere" anche quella degli altri, immaginarla come una sceneggiatura. Vedo un tizio su un taxi al cellulare e provo a immaginarmi da dove arriva, cosa fa, perché sta telefonando e così via. È lo spunto per "montare", come al cinema, un piccolo film, e stimolare una melodia o una frase di testo che poi diventerà canzone.
Il disco è stato lanciato da un singolo inedito, Mezzo pieno o mezzo vuoto,
sguardo ottimista a questa epoca. Cosa ti fa vedere il bicchiere mezzo pieno?
Guerre, catastrofi naturali, problemi di varia natura ci sono sempre stati, ieri come oggi. E non è vero, come anch’io talvolta ho pensato, che si stava meglio in passato. La società odierna offre tante belle opportunità ed è migliorata, basta pensare ai progressi fatti nei campi della medicina o delle comunicazioni. Siamo noi che dobbiamo utilizzare al meglio le risorse a disposizione.
È una società che offre tanto, senza dubbio. Molti ragazzi, però, stando alle statistiche, si annoiano. Perché?
Mancano le passioni ed è aumentata l’apatia. Hanno tutto, forse troppo, ma non basta a far nascere un interesse coinvolgente, ad accendere una scintilla. Passa l’idea, poi, che ogni cosa sia facile. Non è così. Bisogna impegnarsi, provare e riprovare per riuscire nella vita, dimostrare di sapere fare qualcosa bene. Che non vuol dire avere successo: io suonerei in ogni caso, perché mi piace. Per il mio video clip mi sono fatto accompagnare da diciotto band emergenti scelte da MySpace: vedere tanti ragazzi con la voglia di stare insieme e di suonare mi ha fatto tornare fiducia nella musica e nel suo futuro.
©MondoErre - Claudio Facchetti