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BENEDETTI COMPITI

Ci risiamo. L’anno scolastico comincia con l’immancabile tormentone: troppi compiti a casa. Ecco un titolo a tutta pagina: “La scuola infinita dei ragazzi italiani”. Non è proprio così: tra scioperi, assemblee, manifestazioni, gite, settimane bianche, elezioni e “pause di socializzazione”, la nostra scuola ha anche il primato delle ore perse. Magari “perse” non è il termine più appropriato, ma certo non si tratta sempre di tempo dedicato all’apprendimento. Chi ha fatto i conti assicura che dai 200 giorni di lezione previsti si scende a 160.
L’impressione è che da noi si studi troppo per il calendario ufficiale e troppo poco per l’orologio reale. In ogni caso, volendo, resta il tempo per praticare lo sport preferito, dedicarsi alla lettura o posteggiarsi davanti alla tv. I ragazzi italiani sono quelli che hanno più compiti a casa (almeno 2 ore al giorno, contro meno di un’ora degli studenti americani detentori del record opposto) ma soltanto perché da noi non c’è il cosiddetto “tempo lungo”, che invece è diffuso soprattutto in Gran Bretagna, in Germania e in tutto il Nord Europa. Insomma, gli altri ragazzi sono meno impegnati quando tornano a casa perché i compiti li hanno già fatti a scuola.

Organizzarsi bene
C’è anche chi ritiene inutili i compiti a casa e ci sono genitori pronti a giustificare i figli quando si dimenticano di farli. “I ragazzi sono già sin troppo spremuti a scuola – sostengono - e a casa hanno bisogno di riposare e distrarsi”. Attilio Oliva, amministratore delegato dell’Università Luiss di Roma e presidente di un’associazione che studia il mondo dell’istruzione, lamenta “la scarsa attenzione alla possibilità di concentrazione degli studenti”.
Osserva che da noi si fanno 15 minuti di pausa in una mattinata di 5 ore, mentre in Germania ogni due ore si interrompono le lezioni per 20 minuti e dopo 4 ore c’è una pausa obbligatoria di 1 ora. Conclude: “Troppe materie e orari concentrati e stressanti. Non deve stupire se, come ha accertato una recente indagine, il 39% dei quindicenni italiani scapperebbe da scuola subito”. Il rimedio? “Rimettere al centro dei programmi e della didattica i ragazzi, con i loro ritmi e i loro bisogni”.
In realtà, fare i compiti significa molte cose, tra cui la più importante è quella di imparare a organizzarsi. Osserva la psicologa Anna Oliverio Ferrars: “Sono pochi gli apprendimenti che si verificano istantaneamente e si installano nella mente una volta per tutte. La maggior parte degli apprendimenti si consolidano, infatti, attraverso l’esercizio: in classe si inquadra un argomento, ci si esercita e poi, a distanza di qualche ora o di qualche giorno, a casa propria o durante il doposcuola, si ritorna sulla nuova acquisizione approfondendola e stabilizzandola.
Senza la presenza dell’insegnante, i ragazzi possono permettersi di sbagliare e andare alla ricerca delle soluzioni con i propri ritmi. I compiti a casa sono un’occasione per accrescere l’autodisciplina, imparare a darsi dei tempi e seguire delle regole. Gli insegnanti, però, non devono sovraccaricare i ragazzi, perché una pressione eccessiva crea uno stato di ansia”.
Il dilemma “compiti sì, compiti no” è piuttosto vecchio. Risale al 1962 la prima circolare ministeriale che invitava gli insegnanti a non dare compiti a casa nel week-end. Il suggerimento rivelava il futuro scontro tra famiglie e scuola: nell’epoca del nascente benessere - era il periodo del cosiddetto boom economico - i compiti a casa iniziavano ad essere un ostacolo alle prime scampagnate del fine settimana.
Nel corso degli anni il carico dei compiti per gli studenti italiani è progressivamente diminuito. Nel caso delle elementari e medie è stato complice l’adozione del tempo lungo. Per tutti gli altri, semplicemente si è abbassato il livello di studio: rispetto a 40 anni fa le ore a casa si sono quasi dimezzate.

Motivare gli studenti
Abbiamo chiesto un maggiore approfondimento sull’argomento alla professoressa Anna Paola Cantucci che per tanti anni è stata preside di un liceo e ora partecipa ad un programma europeo sui metodi di apprendimento.

D. Meglio pochi o tanti compiti a casa?
R. La questione oggi non è se dare tanti o pochi compiti, ma motivare gli studenti e insegnare loro come si impara. Siamo avviati verso una società dove bisognerà imparare tutta la vita, quindi occorre apprendere il modo più conveniente di studiare.

D. Si può imparare a fare i compiti?
R. Certo, s’impara a scuola, cominciando a distinguere che cosa è importante e che cosa è accessorio. E questo lo devono far capire gli insegnanti.

D. Le nuove tecnologie aiutano?
R. L’uso di Internet è importante, ma senza una guida gli studenti rischiano di scaricare tutto. Copiano e basta e questo può spingerli verso la passività, che è uno degli ostacoli maggiori dell’apprendimento.

D. E il ruolo della famiglia?
R. Non deve fare i compiti al posto dei figli, ma motivarli. E cioè l’adulto non si sostituisce al ragazzo, ma deve essere disponibile per indicazioni, suggerimenti, domande da porre all’insegnante. Insomma, a fianco dei figli, non al loro posto.

D. Altri errori che i genitori devono evitare?
R. Mai mettere fretta, né sottolineare gli errori o ridicolizzare il ragazzo. Bisogna anche concedergli il tempo necessario per imparare, ricordando che i suoi tempi sono diversi da quelli di un adulto. Se si vuole che affronti serenamente i compiti a casa bisogna mostrarsi ottimisti sulle sue possibilità. E se si ritiene che i compiti siano eccessivi o troppo difficili, meglio parlarne con l’insegnante invece che criticarlo.

D. In effetti i ragazzi si lamentano che hanno troppi compiti…
R. Talvolta hanno ragione. Soprattutto credo che i ragazzi non vadano annoiati. Gli studenti di oggi non sono quelli di ieri, per loro il principio di autorità non esiste più. Sono convinta che il problema sia soprattutto quello di motivarli maggiormente.

D. Un tempo si davano più compiti?
R. Sì, ma un tempo si studiava di più e gli insegnanti erano più severi.

D. Non potremmo anche noi adottare il tempo lungo a scuola come nella maggior parte dei Paesi europei?
R.Ci vorrebbero altre strutture edilizie, istituti con le mense, con spazi ricreativi, tutta un’altra cosa.

D. Ma in definitiva, si studia abbastanza oppure no?
R. Non si può fare di un’erba un fascio. Dipende, ovviamente, dalla bravura degli insegnanti e dalla volontà dei loro allievi. L’impressione, però, è che si studia in maniera dispersiva. Non perché il tempo è troppo poco, ma piuttosto perché è male organizzato.

LIDIA GIANASSO

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©AGOSTINO LONGO
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