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JOVANOTTI - “PENSO MENO, AGISCO DI PIÙ”

Ci ha lavorato sopra per oltre un anno a questo lavoro, rimandandone l’uscita annunciata a inizio 2005. Segno che Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, voleva fare un album che “spaccasse”, come dice lui. Il rapper di Cortona, dove è nato, arrivava da un disco, Il quinto mondo, che non era andato benissimo sul piano delle vendite, ma solo bene. Un risultato che avrebbe fatto felice qualsiasi artista di questi tempi, ma per uno abituato a totalizzare grandi numeri, la cosa aveva destato forse qualche allarmismo.
Jovanotti ha così preferito staccare la spina per un po’ di tempo dallo spettacolo. Si è rintanato nella sua casa, si è goduto la famiglia, ha viaggiato e cominciato a scrivere le canzoni che sarebbero finite nel nuovo Buon sangue. Brani che ha levigato, coccolato, corretto insieme a un gruppo di amici-collaboratori, offrendo alla fine un catalogo variegato di convincenti suoni, melodie, ritmi, parole.

D. Il disco doveva uscire a gennaio, poi è stato pubblicato a maggio. Cosa è accaduto?
R. L’album ha avuto in effetti un percorso travagliato. Durante la sua incisione, mi si è ribellato contro: scappava, io lo riacciuffavo per poi sfuggirmi ancora. Ho così sentito l’esigenza di chiedere aiuto ad altre persone per poterlo domare, musicisti e collaboratori. E ci sono riuscito solo lavorando insieme a loro. Ho realizzato così un disco che ritengo il più “mio” di tutti quelli finora incisi. Sembra un paradosso: per arrivare a un album così personale ho avuto bisogno di una squadra su cui contare. Ma è solo attraverso lo scambio di idee e la fiducia negli altri che si ottengono buoni risultati.

D. Perché lo hai intitolato “Buon sangue”?
R. C’è stata discussione sul titolo, il riferimento al sangue destava qualche perplessità. In realtà, non ha alcun significato negativo, bensì ottimista, con uno sguardo rivolto ai proverbi come “Buon sangue non mente”. Ha dentro di sé qualcosa di antico e tradizionale, ma al tempo stesso di molto vivo. E infatti lo ritengo un album sanguigno.

D. Uno dei pezzi più significativi dell’album lo hai intitolato “Coraggio”. È un’esortazione a reagire a questi tempi non facili?
R. “Coraggio” è una parola talmente retorica che, nel parlarne, si rischia di fare confusione. Nonostante ciò, ho voluto costruire la canzone proprio su di essa. È un richiamo, una specie di “chiamata alle armi”, rivolta a tutte le persone per reagire a questa atmosfera un po’ negativa che si respira in giro, a cominciare da me stesso.

D. Cosa ti preoccupa?
R. Il mondo non è messo bene e talvolta mi sento scoraggiato. Fortunatamente, una parte di me trova sempre la spinta per reagire. Per questo, ho usato la parola coraggio nella canzone. Comunque, non ho smarrito la mia serenità. Sono solo meno scanzonato rispetto ad alcuni anni fa, ma credo sia dovuto anche alle responsabilità di avere una famiglia.

D. Non vale più il tuo “penso positivo”?
R. Oggi penso meno di ieri, benché sempre in positivo, e provo ad agire con maggiore forza. Sono meno razionale e più viscerale. E il disco segue sostanzialmente questo aspetto. È un lavoro in cui, rispetto ad altri, prevale il carattere, lasciando un po’ in disparte la virtù.

D. Come definiresti il tuo album?
R. È un disco di forte comunicazione, fatto per il pubblico. Una mattina stavo correndo al parco Sempione di Milano e ho visto due ragazzini seduti sulla panchina. Mi sono detto: devo riuscire a “parlare” con loro, è questa la sfida che devo tentare di vincere realizzando il disco.

D. E quali suoni hai usato per comunicare con loro?
R. Sono un innamorato dei suoni etnici, ma girovagando per il mondo mi sono accorto che i ragazzi, a qualsiasi latitudine e condizione sociale, ascoltano in prevalenza un solo genere: l’hip hop. Magari è plasmato con le sonorità del proprio Paese, ma rimane sempre hip hop. E allora, su questa base, ho provato a sviluppare il mio disco. Certo, in Italia il fenomeno forse è meno marcato, ma le sonorità stanno andando in quella direzione. La canzone è roba vecchia. Possiamo continuare a farla, perché è un bell’esercizio, però la musica sta seguendo altre strade.

D. Quale messaggio contiene l’album?
R. Non c’è un vero e proprio messaggio, nessun slogan particolare. Se dovessi riassumerne i contenuti direi che si indirizzano tutti verso una sola considerazione: la vita non è facile, ma è un “luogo” comunque e sempre entusiasmante. L’esistenza porta anche sofferenze, a prendere delle “strambate”, ma poi ci si può risollevare e ricominciare di nuovo con rinnovate energie.

CLAUDIO FACCHETTI

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