Sulle tracce di Mowgli

A Hollywood Il Libro della Giungla, uno dei capolavori scritti da Rudyard Kipling, deve piacere molto, viste le numerose versioni portate sul grande schermo con più o meno successo. Stando solo ai titoli più acclamati, si ricordano il cartoon Il Libro della Giungla (1967), proposto in una versione abbastanza rimaneggiata rispetto alla storia originale, e con lo stesso titolo l’adattamento nel 2016 dell’identico film d’animazione, questa volta in live action (ossia con attori in carne e ossa), pellicole entrambe prodotte dalla Disney e dagli incassi importanti: il primo con 346 milioni di dollari, il secondo con 966 milioni di dollari.

Ora, l’ultimo a interessarsi al romanzo di Kipling è Andy Serkis, attore noto soprattutto per la sua interpretazione di Gollum ne Il Signore degli Anelli, passato dietro la macchina da presa. E per il suo esordio ha varato appunto Mowgli - Il figlio della giungla, ennesimo adattamento cinematografico del celebre libro.

Tuttavia, il film segna una sostanziale differenza con quelli realizzati in passato, come sottolinea Serkis: «È molto fedele al romanzo, quindi ha un’atmosfera più cupa e drammatica». Dunque, niente canzoncine leggere e allegri balletti come il cartoon, e tanto meno animali simpatici e atmosfere laccate come ne Il Libro della Giungla per raccontare le avventure di Mowgli.

La storia è nota. Il cucciolo d’uomo Mowgli cresce allevato da un branco di lupi nella giungla indiana. Presto impara a districarsi in un’ambiente ostile, aiutato dall’orso di nome Baloo e dalla pantera chiamata Bagheera. Viene così accettato dalla maggior parte degli animali, fatta eccezione per l’infido serpente Kaa e soprattutto la temibile tigre Shere Khan. Ma i pericoli non si celano solo nell’intricata vegetazione. Mowgli se ne accorgerà quando si troverà a contatto con gli uomini e proverà ad entrare nel loro mondo, quello a cui in fondo lui appartiene.

Per girare il film, Serkis ha unito insieme attori in carne e ossa con la cosiddetta tecnica della performance capture per dare vita agli animali, che registra espressioni e movimenti degli interpreti per poi fonderli con i personaggi digitali. Un metodo di cui Serkis è maestro, tanto da aver creato gli Imaginarium Studios per sviluppare le possibilità della realtà virtuale e della realtà aumentata.

Ha così arruolato un eccezionale cast che si è sottoposto volentieri ai processi della performance capture per trasformarsi in un animale: Christian Bale è diventato l’astuta Bagheera, Cate Blanchett è la viscida Kaa, Benedict Cumberbatch è la grintosa Shere Khan, Naomie Harris è Nisha, la lupa che alleva Mowgli, mentre lo stesso Serkis si è scelto il saggio Baloo.

«L’aspetto fondamentale era che queste creature parlanti fossero credibili – ha dichiarato il regista alla rivista Rolling Stone – . L’idea di doppiare un animale fotorealistico non mi interessava. Per questo abbiamo impiegato la performance capture: per la maggior parte del cast si trattava di un’esperienza nuova».

Ha poi spiegato: «La faccia degli attori è stata unita a quella del personaggio che avrebbero interpretato grazie al morphing, allungandola e tirandola al punto giusto, fino a quando potevamo distinguere sia il volto umano che quello animale. C’è voluto molto tempo, da un punto di vista dell’animazione. Tutto ha inizio, però, con la recitazione, non dimentichiamolo».

A interpretare Mowgli è stato scelto il quattordicenne Rohan Chand, nato a New York ma di origini indiane, già apparso in brevi parti in altri film. «È il mio primo ruolo da protagonista – commenta – e ho dato il meglio per tratteggiare il carattere di Mowgli, complesso e mutevole nella storia. Sono grato a Serkis per avermi scelto».

«È stato bravo – gli fa eco il regista – . Nello svolgersi della vicenda, il carattere di Mowgli si trasforma: è un orfano allevato da animali che scopre una realtà diversa, quella umana, che dovrebbe appartenergli. Si trova all’improvviso a chiedersi chi è, a confrontarsi con un altro mondo. È un percorso di crescita».

La fusione tra scene “dal vivo” e animazione in performance capture sono sbalorditive, gli animali hanno un aspetto realistico ed espressivo, le ambientazioni fantastiche. «Ci sono sequenze di grande impatto, atmosfere che mutano – commenta Serkis – . La giungla, per esempio, ho voluto che cambiasse spesso “scenografia”: non è solo un luogo dagli scorci incantati, ma è anche tenebrosa e selvaggia, piena di pericoli. È stata una bella sfida».

A chi gli chiede se pensa di abbandonare la carriera di attore, Serkis risponde: «Recitare è stata una priorità per tanto tempo, ma c’era sempre qualcosa che mi lasciava perplesso. Con la regia, invece, mi sento completamente soddisfatto. Cercherò di stare dietro la macchina da presa il più possibile».