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TIVÙ SEMPRE PIÙ GIÙ

Dopo la stagione dei flop, i signori delle tv (Rai e Mediaset) fanno i conti e si accorgono che negli ultimi 12 mesi hanno perso più di un milione di spettatori: dai 27 milioni del 2006 ai circa 25 milioni e 800 mila di oggi. Una moltitudine, dai nipoti ai nonni, che ha detto basta alle baggianate o alle volgarità del piccolo schermo per impiegare meglio il proprio tempo libero. È motivo di rammarico, o dobbiamo invece rallegrarci? Forse entrambe le cose e vediamo perché.
Intanto, la ricerca svolta tra le fasce di età, ci dice che i primi ad abbandonare la tv sono stati i ragazzi. E non tutti si sono buttati sulla play-station. Lo conferma un’altra indagine sul cinema e la lettura, due settori in forte crescita tra i teen-ager: più (20%) di biglietti staccati al botteghino e più (18%) di libri venduti. E quindi evviva la crisi della tv. I ragazzi, come spesso accade, sono stati i primi ad avvertire il disagio per una televisione inadeguata (tanto per usare un eufemismo) e hanno usato il solo strumento di difesa a loro disposizione: la spina da staccare.
La tv, ovviamente, non è tutta da buttare. Ma sembra sempre meno attenta alle esigenze e ai gusti dei più giovani. Un cartone animato giapponese (spesso violento), un (apprezzabile) documentario sulla natura, un (mieloso) telefilm americano e il palinsesto è fatto. Senza tener conto di come sono cambiati i ragazzi di oggi. Senza che nessuno tenti di capire i loro sogni, le loro speranze e quindi sappia imbastire un trattenimento che li interessi veramente e li diverta.
I conti del fallimento lo fa soprattutto chi investe negli spot televisivi: se cala l’audience, cala anche il gettito pubblicitario. E questo spiace, perché senza risorse è più difficile uscire dalla crisi. Il direttore generale della Rai, Claudio Cappon, confida: “L’azienda è in rosso: abbiamo perso 80 milioni, le perdite più rilevanti negli ultimi 13 anni”. Le cause? Beghe interne, lotte politiche, troppi direttori di rete scelti a seconda della tessera di partito e non per capacità professionale. Insomma, la tv considerata bottino di guerra. Cappon conclude desolato: “Mi trovo come agli arresti domiciliari e mi rendo conto che la Rai deve ritornare ad avere capacità di programmazione e a guidare le proprie scelte editoriali”.
La lunga stagione dei disastri record è fatta di “format” deboli e autori senza qualità: Unanimous, Wild West, Fattore C, Formula segreta, La freccia nera, Codice rosso, Nati ieri, Reality Circus, Colpo di genio, Apocalypse Show, Votantonio… L’elenco non è completo, ma sembra un bollettino di guerra: tutti caduti sul fronte della cosiddetta tv generalista. Programmi subito annullati, oppure declassati in altri orari. Alcuni difesi sino all’ultimo con motivazioni perlomeno ridicole. Com’è accaduto per il fastidioso show di Funari che qualche mente illuminata ha giustificato “per la sfida dei temi legati all’ambiente, alla cultura e ai valori”. Totò avrebbe commentato: “Ma mi faccia il piacere!”.

Dai format ai reality: è fallimento
Paolo Bonolis, Simona Ventura, Alessia Marcuzzi, Maurizio Costanzo, Barbara D’Urso, Amadeus, Fabio Canino, Stefania Sandrelli, Alba Parietti: dal conduttore strapagato alla presenzialista di lungo corso, hanno fatto tutti flop. Perché un numero così alto di fallimenti? Aldo Grasso, uno dei più acuti (e temuti) critici televisivi, si domanda: “Non sappiamo più fare televisione? Le ragioni sono tante, tante quanti i medici pronti a stilare il loro responso funereo”.
La prima considerazione è la seguente: “Senza gente che dimostri passione per quello che fa, si ottiene solo un misto di cinismo e opportunismo. Alla lunga, le condizioni ideali per il flop”. Poi l’esperto tenta una risposta più articolata: a parte la conduzione dell’azienda, da assalto alla diligenza, il crollo è anche dovuto alle produzioni esterne e ai format, cioè i programmi confezionati all’estero e quasi sempre riproposti tali e quali. “I direttori non si sporcano più le mani con il prodotto, ma preferiscono comprarlo già fatto da una società esterna di produzione”.
Viene voglia di domandare alla Rai: che cosa serve avere 11 mila dipendenti, 4 centri di produzione, 21 sedi regionali se poi i programmi più importanti vengono appaltati all’esterno? Una risposta onesta potrebbe essere: per infilare qualche bustarella in tasca, umiliare i dipendenti e soffocare la loro creatività.
Ricorda il critico: “Quando, anni fa, la tv generalista americana è entrata in crisi, i grandi network si sono salvati assottigliando le forze interne, favorendo la crescita di produttori indipendenti e lasciando che il mercato facesse il suo gioco: se ci sono più produttori a lavorare sui progetti, si può scegliere quello che dà maggior affidamento”.
Se il format non è ripensato, adattato al Paese che lo trasmette, è spesso un flop. Soprattutto, non si può pretendere che duri all’infinito e bisogna sapere quand’è giunto il momento di cambiarlo. Prendiamo l’insulso giochetto dei pacchi che fa da traino al tg1:era una calamita prodigiosa, ora attrae un po’ meno, presto verrà a noia.
È il caso dei reality: all’inizio sembravano sul punto di riscrivere la storia della tv. Adesso è in affanno: 5 punti di share in meno della passata stagione. Nel caso del capostipite del genere, Grande Fratello, i cali più vistosi si manifestano tra i giovani, che fanno perdere al programma anche 10 punti. Gli altri nuovi reality (alcuni sospesi subito) hanno creato soltanto saturazione.
E poi c’è il dolore trasformato in show. Endemol, la società di produzione olandese acquisita da Mediaset, tempo fa ha annunciato uno spettacolo sulla gara per l’assegnazione di un rene a malati in dialisi. Sommersi dall’indignazione, i dirigenti della società hanno fatto sapere che si trattava di uno scherzo. Giorgio Vecchiato, un grande giornalista che ora si diverte a smascherare i cialtroni della tv, commenta: “Volevano ottenere della pubblicità gratis e ci sono riusciti. Sulla pelle di tre malati veri, che vedono così sparire le proprie speranze e aumentare l’angoscia. Detto fuori dai denti, più che alla tesi della burla, è da credere a una marcia indietro. Per nasconderla, si sono travestiti da buontemponi. Eccellente garanzia di serietà per la Rai, che da Endemol acquista di tutto e di più”.

CENZINO MUSSA

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