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Una squadra da favola

Lo hanno detto e ridetto, scritto e riscritto: la parola “miracolo” ha accompagnato tutti, ma proprio tutti, i commenti alla promozione del Carpi in serie A. Chi segue il calcio sa benissimo che i miracoli possono riguardare al massimo una partita, non certo un’intera stagione.

Il Carpi che ha dominato il campionato di serie B ha fatto leva in realtà su una dote che sembrava sparita dai nostri stadi: la semplicità. La stessa semplicità che l’allenatore Fabrizio Castori ha predicato ai propri giocatori. «Non ho mai chiesto a un attaccante di fare il centrale difensivo – spiega − o a un trequartista di fare l’esterno basso. Ciascuno di loro deve fare in campo soltanto ciò che conosce. Meglio un errore in meno che un colpo ad effetto in più».c

È con questi presupposti che il Carpi, in testa alla classifica dalla prima all’ultima giornata, è riuscito a cogliere di sorpresa gli avversari più titolati, dal Bologna al Catania, dal Livorno al Bari. Anche a costo di fare arricciare il naso ai critici di fronte a gesti tecnici un po’ rudimentali: gli stop in due tempi (palla persa al primo impatto ma recuperata d’impeto), i tiri a rete di punta e non di collo-piede, i passaggi laterali sempre di piatto per ridurre al minimo gli errori di misura.

A garantire la marcia in più, tuttavia, ecco le volate mozzafiato in contropiede, i recuperi micidiali in tackle e una preparazione atletica accuratissima affidata all’ex-quattrocentista azzurro Andrea Nuti, già nello staff di Mourinho.
 

Da Lasagna a Mbakogu

C’è un giocatore che meglio di tutti ha saputo esprimere in partita la filosofia del Carpi: si chiama Kevin Lasagna, ha 22 anni, un diploma di geometra e una piccola utilitaria che usa tutti i giorni per raggiungere il campo di allenamento da San Benedetto, il paese del Mantovano dove abita con la famiglia.

È al primo anno da professionista ma ha conservato lo spirito, e l’entusiasmo, del dilettante. Il Carpi lo ha prelevato per 12 mila euro dall’Este, in serie D, e Castori non ci ha penscarpiato due volte a lanciarlo in prima squadra per sostituire il cannoniere Mbakogu, bloccato da un infortunio. Kevin è diventato subito protagonista segnando cinque reti pesantissime e risultando spesso imprendibile, grazie alle sue doti di velocista, per i difensori avversari.

Emblematico anche il caso di Jerry Mbakogu, nigeriano di nascita ma trasferitosi a Scorzè, nel Veneziano, quando era ancora in fasce. Il diesse del Carpi Cristiano Giuntoli lo ha voluto fortissimamente nonostante i giudizi negativi dei cosiddetti esperti. Mbakogu aveva suscitato ampi consensi nelle squadre giovanili e aveva giocato nella Juve Stabia ritornando però al Padova, proprietario del cartellino. Giuntoli lo aveva portato a Carpi in prestito nonostante fosse fermo da tempo per un grave infortunio e il ragazzo aveva ricambiato la fiducia lavorando sodo con i fisioterapisti fino alla completa ripresa.

Una volta in campo, Mbakogu è apparso subito devastante in contropiede segnando con continuità (15 i gol a fine stagione) e mettendo in mostra doti tecniche di rilievo. Ma c’è di più: dopo il fallimento del Padova, Mkagoku è arrivato al Carpi a costo zero, un regalo inaspettato ma graditissimo per una società che ha il monte spese più basso di tutte le serie professionistiche, due milioni e mezzo di euro complessivi tra ingaggi e costi di gestione, un terzo dell’ingaggio annuale di Balotelli.
 

Tre parole

Tutti i giocatori che figurano nella rosa del Carpi appartengono al cosiddetto calcio-operaio: mai in copertina ma sempre funzionali alle esigenze del collettivo. «La nostra organizzazione di gioco – dice Castori − si può sintetizzare in tre parole: umiltà, solidarietà e spirito di sacrificio. Chi non possiede queste doti non può giocare nel Carpi. Ho chiesto alla società di prendermi dei ragazzi che avessero tanta, ma proprio tanta, voglia di lavorare. Sono stato accontentato e ho avuto a disposizione un gruppo fantastico».carpi

Aggiunge Castori, se non fosse chiaro: «Con me i lavativi non hanno spazio. Un esempio? Quello del portiere Kelava, che a un certo punto mi ha detto: “Mister, io in tribuna non ci vado”. È stato accontentato: il giorno dopo ha fatto le valigie e il resto della squadra ha capito subito l’aria che tirava».

Quella del Carpi, salito dalla serie D alla serie A in sole sei stagioni, è stata una escalation irresistibile, resa possibile anche dall’equilibrio che ha sempre caratterizzato sia le scelte di carattere tecnico che quelle di carattere aziendale. Non è un caso che tra i grandi protagonisti della stagione figurino giocatori come Lorenzo Giuntoli o Antonino Del Gaudio già presenti nella rosa della serie D (stagione 2009-’10).

Ma anche i vari Gagliolo, Struna, Lollo, Romagnoli, Inglese hanno alle spalle un percorso fatto di umiltà e di dedizione al lavoro: gregari, certo, ma con un carattere di ferro. E lo stesso si può dire del portiere Gabriel, prestito del Milan, grande rivelazione del campionato, o del regista Porcari, unico ad aver giocato in serie A dopo aver conquistato una doppia promozione con il Novara di Tesser.
Contro ogni logica, se analizziamo il suo curriculum recente, è stata anche la scelta di Fabrizio Castori per la panchina. Perché è vero che ha conquistato in carriera otto promozioni (tutte ncarpielle categorie inferiori, però) ma è altrettanto vero che prima di arrivare a Carpi aveva collezionato in serie B  sei esoneri.  E tuttavia sono state proprio le caratteristiche di Castori, che gioca sempre “in verticale” sfruttando gli spazi per lanciare i suoi giocatori in contropiede, a convincere Giuntoli.

La scelta di Castori è stata premiata dai risultati e appare in linea con la filosofia di una società che si affida da sempre a una saggia organizzazione. Strategia che è stata sin dall’inizio alla base della costruzione della squadra e aiuta a comprendere la differenza che esiste tra… miracoli e programmazione.

© Adalberto Scemma - Mondo Erre
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