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COPIATI & MARCHIATI

Facilmente il disegno stampato sulle magliette che indossi, i loghi del cellulare o l’insegna di un centro commerciale prima di entrare in circolazione hanno fatto sosta nell’Ufficio europeo per l’Armonizzazione nel Mercato Interno Marchi (UAMI).
Ha il compito di esaminare le richieste di industrie e società che vogliono brevettare, in esclusiva, una loro idea per tutti i Paesi della Comunità Europea. Quasi sempre per scopi economici.
Fondato nel 1996, ha sede ad Alicante, in Spagna. Vi lavorano un gruppo di esperti in marchi, chiamati giudici come nei tribunali.
Un suono, un aroma, un’immagine, un * logo (HELP): qualsiasi cosa può avere il “copyright”, un termine tecnico scritto in piccolo sulla confezione che, in sostanza, vuol dire: “L’ho inventato io e guai a copiarlo”.

Il lasciapassare
Le richieste che gli esperti dell’UAMI devono esaminare ogni anno raggiungono una cifra astronomica: dalle circa 50-60 mila domande di “brevettatura”. I “candidati” devono rispondere positivamente soprattutto a due richieste per superare l’esame di …ammissione: essere originali e diversificarsi da marchi già esistenti. Non è possibile, ad esempio, registrare a proprio nome il blu o l’odore della rosa, come ha cercato di fare qualche volpone. Ma si può ottenere il “lasciapassare” per un mix di colori e profumi.
Neppure si può “copiare” il logo o il nome di un prodotto famoso variando solo un piccolo particolare. Una nuova rivista dal nome Mondoterre difficilmente passerebbe l’esame. Eppure, qualche eccezione c’è stata. Alcuni anni fa, ad esempio, prima che si stabilissero delle regole precise, l’UAMI ha concesso il brevetto dell’odore dell’erba appena tagliata “spalmata” sulle palline da tennis. Durante la partita, un piacevole odore si diffonde sotto il naso dei giocatori e del pubblico.
L’esperimento è stato ripetuto anche sui cartelloni pubblicitari. Ma visti lo scarso successo e gli alti costi di produzione, la ditta ha rinunciato all’iniziativa. Sarà stato colpa dello smog o della distrazione dei passanti?

Promossi e bocciati
Il numero delle “promozioni” supera alla grande quello delle “bocciature”: una media dell’80 sul 20%. Quelle che sono respinte lo devono alla loro eccessiva …originalità. Una ditta inglese ha chiesto, senza ottenerlo, il permesso di utilizzare in esclusiva il profumo di vaniglia come caratteristica dei suoi prodotti di bellezza.
Un’azienda spagnola, invece, voleva inserire l’odore di limone nelle solette da scarpe (e non sarebbe stata una cattiva idea). Una fabbrica ungherese di prodotti musicale pensò a un colpo di genio quando chiese di utilizzare la colonna sonora del cartone animato Cenerentola come ninna nanna per far addormentare serenamente i gatti. Bocciata. Chissà se avrà almeno consultato gli interessati a quattro zampe…
Non tutti, a quanto pare, prendono “l’invenzione” di un marchio come una cosa seria. Molti si divertono a spedire le proprie “idee” solo per gioco, magari per una sfida con se stessi o con gli amici. Sarà per questa ragione che molte domande, pur avendo avuto l’ok finale, rimangono a prendere polvere negli uffici per anni senza che nessuno le “reclami”. A “reclamare” di sicuro saranno gli impiegati dell’UAMI che vedono il loro lavoro crescere per colpa di burloni e “fuori di testa” in vena di scherzi.

Contro i furbi
La facilità con cui oggi i marchi vengono contraffatti ha costretto i giudici di tutta Europa a riunirsi in assemblea, nel 2005, per adottare le opportune contromisure per bloccare la fantasia dei soliti furbacchioni. Sono in crescente aumento, infatti, gli episodi di “geni” che copiano marchi famosi facendoli passare come propri, in modo da sfruttare il loro “nome” per vendere i propri prodotti.
L’UAMI sta correndo ai ripari sguinzagliando i suoi esperti nelle nazioni europee, prima tra tutte l’Italia. Il nostro Paese, patria di navigatori, poeti e di santi, è anche la terra degli inventori di “marchi falsi”. Con una piccola “variante”, celebri nomi di abbigliamento diventano Piuma, Nice, Aditas, Pucci. Simili nel nome, ma non nella qualità e originalità. Per averne una conferma, basta fare quattro passi per le vie delle nostre città tra le bancarelle che espongono borse, scarpe, maglie “veramente falsi” e di origine…non controllata.

FRANCESCO FINIZIO
Nilus
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©AGOSTINO LONGO
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