Due album alle spalle e quotazioni basse. Fino all’anno scorso, le cose non andavano tanto bene per i Black Eyed Peas, ennesima formazione rap sbucata fuori dai ghetti di Los Angeles.
Poi, la ruota della fortuna è girata per il quartetto, ovvero will.i.am, apl.de.ap. (scritti proprio così, come una sorta di codice fiscale), Taboo e l’ultima arruolata, la bionda Fergie, e con la terza fatica, Elephunk, hanno conquistato la vetta delle classifiche di mezzo mondo. Ad aprirgli la strada, due singoli dall’impatto micidiale, Where is the love, con ospite Justin Timberlake, e Shut up, entrambi dal ritmo frenetico e dalle melodie appiccicose come miele.
D. Un lungo periodo infruttuoso, poi la grande affermazione. Come lo spiegate?
R. E' difficile trovare una risposta. Forse le precedenti esperienze ci hanno fatto maturare e siamo entrati in sala sicuramente con maggiore determinazione rispetto al passato. Inoltre, avevamo una migliore tconoscenza degli strumenti a nostra disposizione e le idee più chiare su come utilizzarli per arrangiare i pezzi.
D. Uno dei vostri segreti potrebbe essere la varietà di generi presenti nell’album?
R. Il nostro approccio alla musica, in effetti, è molto aperto. In sostanza, Elephunk è un disco dall’impianto hip-hop, ma interagisce con diversi generi: rock, pop, funk… L’idea era di realizzare semplicemente delle belle canzoni con della buona musica, senza caratterizzarle per forza in una precisa corrente sonora. E per raggiungere questo obiettivo, abbiamo miscelato insieme gli strumenti veri con i suoni generati dai marchingegni elettronici, creando una base originale.
D. Vi aspettavate un riscontro così esteso?
R. È stata una grossa sorpresa. Quando abbiamo finito l’album, benché avessimo dato del nostro meglio, sapevamo che poteva essere l’ultimo se non funzionava. Fortunatamente, i nostri sforzi sono stati ripagati e constatare che tanta gente ha apprezzato le nostre canzoni ci ha reso davvero felici.
D. Contrariamente ad altri artisti rap, il vostro messaggio è positivo. Perché?
R. Anche noi arriviamo dai ghetti, e quello che abbiamo visto e vissuto è drammatico: sparatorie, pestaggi, scontri tra bande, largo uso di droghe. È un panorama che non ci è mai piaciuto e non è il caso di esaltarlo, come fanno tanti nostri colleghi. A dispetto della situazione, la nostra forza sono state le famiglie, che ci hanno dato un’educazione solida per svicolare dalla violenza. La positività delle nostre canzoni incomincia proprio da lì.
D. I testi sono molto personali. E' stato difficile raccontare le vostre emozioni?
R. Non è mai facile parlare della propria vita, soprattutto quando finisce un amore o ci sono dei problemi. Volevamo però essere sinceri, e la maggior parte dei brani riflette le nostre situazioni personali. Oggi riascoltare quelle canzoni qualche volta suscita in noi ricordi dolorosi, ma credo anche che la gente abbia apprezzato questo nostro approccio all’album: si sente il feeling nell’esecuzione dei brani.
CLAUDIO FACCHETTI